A Marzocca, quando già l’Emilia-Romagna ha ceduto il controllo della costa Adriatica alle Marche, poco più a Sud di Senigallia, si coagula e s’incarna un ideale di cucina nel contempo mitico e moderno, crasi degli ideali classici di anelito al conoscere e di spinta al viaggiare ma raccontati con tecniche narrative del tutto contemporanee. Un Ulisse, fatto per seguir “virtute e canoscenza”, viaggiatore e navigatore tenace nel suo “Nòstos”, ritorno a Itaca, che ci avvicina alla sua cucina, rendendoci partecipi dei suoi viaggi, reali e nella memoria, in un susseguirsi di portate, in un racconto personale e interiore, a volte quasi un monologo al quale ci viene concesso di partecipare, a volte quasi un flusso di coscienza, raccontato financo senza pause e punteggiature, da comprendere a partire dai minimali elementi proposti. È Moreno Cedroni l’Odisseo moderno che ci guida attraverso i territori della propria esperienza e sconfinata conoscenza della materia prima e delle sue trasformazioni, lo Chef dal multiforme ingegno che, nella sua Madonnina del Pescatore, adotta, per illustrare il suo percorso, forme espositive insolite e perfino irriverenti e giocose. Più che “Ulisse” è “Ulysses”, quello di Joyce, che ha scardinato le tecniche compositive classiche, scandalizzando alcuni, ma affascinando i più. Viaggi, quindi, sete di conoscenza, voglia di analizzare, sperimentare e approfondire scientificamente i fenomeni alla base delle trasformazioni della materia prima, la maturazione e l’invecchiamento del pesce in primis, ma con esposizioni, creazioni, portate, mise en place e presentazioni del tutto innovative, singolari e, sicuramente, geniali. Viaggi, là di Ulisse (l’eroe) e di Bloom (l’antieroe), qui dell’uomo di oggi che, nel quotidiano antieroico, diventa eroe. Viaggi non solo fisicamente reali ma anche navigazione nella vita di tutti i giorni, con i suoi piccoli momenti di verità, le sue memorie dei tour passati, le quotidiane incombenze, le riflessioni con se stessi, alla totalità dei quali solo una grande arte può regalare valenza estetica, trasformandoli in piatti indipendenti. E allora il rassettare la cucina diventa un dolce (… e adesso chi lava i piatti!?), l’aperitivo con gli amici diventa una vera e propria portata (Chilcano coktail e chela di gambero fritta), i piccoli assaggi di controllo durante la preparazione dei pasti quotidiani diventano un vero e proprio antipasto (Quattri cucchiai, antipasti crudi e cotti), la favola raccontata alla sera per addormentare i figli diventa flusso di coscienza, riflessione e monologo introspettivo (Alice nel paese delle meraviglie), i passaggi preparatori di una ricetta diventano essi stessi parte del risultato finale (di nuovo: … e adesso chi lava i piatti?!). Tutto in una nuova estetica e sperimentazione. Esattamente quel che si proponeva Joyce. Il menù scelto è “ricordi d’infanzia”, nel quale Chef Cedroni propone e ripropone passaggi storicamente rappresentativi del proprio percorso professionale. Sulla linea di partenza il gelato al parmigiano. Due cialde croccanti che racchiudono un gelato, nemmeno a dirlo, al parmigiano, come sempre di parmigiano sono le cialde, con uno strato di marmellata di lime e ananas, abbinate con lo stesso Ferrari Perlé Bianco 2013 riserva che ci era stato proposto come aperitivo. Il formaggio sapido, nelle sue due consistenze, croccante e cremosa, in contrasto con l’aspro degli agrumi e il dolce dell’ananas, crea un amalgama delizioso, ben ripulito dalle bollicine e dalla freschezza del Trento DOC, ad aprire tutto il percorso e ad introdurci alla sua prima parte. Le successive quattro portate, precorritrici di quelle centrali, che verranno, parlano della giovinezza. Rappresentano Telemaco, il figlio di Ulisse. Discorrono ovviamente del mare. Mare reale e mare figurato, vastità di esperienze di vita e di viaggio, mare color del vino, “dolce madre grigia […] Epi oinopa ponton. […] Thalatta! Thalatta! È la nostra grande dolce madre.” Preceduta dall’arrivo del pane, deliziosamente nero e caldo, e dell’olio, marchigiano, leggermente piccante e con sentori erbacei e di carciofo, la prima è il “chilcano cocktail con chela di gambero fritta”. A base di pisco, campari, zenzero, nel cocktail ritroviamo le stesse zeste di lime presenti, sopra una maionese di teste di gambero, sulla croccante panatura della chela, presentata con un bastoncino a mo’ di gelato. Gioco quindi di consistenze, liquida e succulenta, croccante e pastosa, non meno che di sapori e tattilità, piccante, dolce e alcolica. L’ideale per accompagnare lo “small talk” da aperitivo tra giovani amici che qui diventa nuova estetica. “- Sono terribilmente scottato dal sole? […] - No […]. Dopo diventa marrone. Hai provato il borace con l'acqua di alloro ciliegia? […] - E lascia fare a me […] - Prova con la glicerina […] - Quelle cose fanno solo uscire uno sfogo […]. Ho chiesto a quel vecchio nebbioso di Boyd's qualcosa per la mia pelle. […] - Oh, non ricordarmelo per pietà! Ma aspetta che te lo dica […]. - No, no […]. - Non ascolterò […]. - Per il tuo cosa? […] Non farmi pensare a lui o morirò”. E così via. Fino a notte. Entra poi lo Schloss-Reinhartshausen - Riesling Sekt Brut Metodo Classico abbinato allo “scampo crudo marinato all’arancia e vinaigrette di pomodori arrosto”. Tre scampi disposti a raggiera nel centro del piatto, sulla marinata e sulla vinaigrette, sovrastati a loro volta dalla nuvola d’aria all’arancia, regalano al palato un’esplosione di sapori dominati dall’agrodolce dell’agrume e dei pomodori. Mare e crudità, avvolti da leggeri sentori di aglio e prezzemolo. Il medesimo Riesling affianca anche i “quattro cucchiai di antipasti crudi e cotti”. Questa volta è la quotidianità della casa, della preparazione domestica dei cibi a diventare icona e oggetto di trasposizione governata da una geniale ispirazione. È il mare, la vasta distesa dei piccoli e quotidiani rituali di cucina. Sono i normali gesti dell’assaggiare con un cucchiaio le pietanze in preparazione che diventano offerta in un’elaborazione destinata a fare scuola. In questi gesti famigliari, infatti, è il cucchiaio ad essere attrezzo principe, sostituto del piatto. Sono gli stessi gesti famigliari con cui si prepara una colazione per la compagna, il compagno, la moglie, il marito, i figli, i genitori, chiunque tra i nostri congiunti vogliamo fare oggetto delle nostre attenzioni. “Un'altra fetta di pane e burro: tre, quattro: giusto. Non le piaceva il piatto troppo pieno. Giusto. Lasciò il vassoio, sollevò il bollitore dalla mensola e lo mise di sbieco sul fuoco. Stava lì, grullo e accosciato con il beccuccio sporgente. Tazza di tè fra poco. Bene. Bocca secca. La gatta intenerita girò intorno a una gamba del tavolo con la coda ritta." E in questa famigliarità quotidiana magari si assaggia dal cucchiaio, si assaggia una cucchiaiata di cibo. E questo viene fatto ora. Con un’intuizione folgorante e definitiva, quattro cucchiai sono disposti orizzontalmente a senso alternato, ognuno con il suo carico di umori, sapori e consistenze: ricciola, con fiori eduli, polpo con piccole verdurine, baccalà con quinoa, maionese e salsa di pomodoro, capasanta e patate. Croccantezze, pastosità, balsamicità, aromaticità, acidità, il mare intero in quattro bocconi, che si susseguono e rincorrono alzando di continuo l’asticella del gusto. Sicuramente una delle portate più interessanti sia al gusto, che alla vista. La stessa spensieratezza giovanile, vista prima, del cocktail e dello small talk da aperitivo tra amici. La “cotoletta di tonno, salsa di cavolfiore e miso, giardiniera e kefir”, a concludere questa prima parte, è affiancata da un Falerio Pecorino Dezi 2017, teso e freschissimo, atto a contrastarne grassezze e ad assecondarne aromaticità e persistenze. Il tonno, con doppia panatura, viene fritto ancora congelato, in modo da mantenere bassissimo il livello di cottura del pesce. Viene presentato, nell’emiciclo superiore del piatto, in tre tranci, ognuno affiancato da cavolfiore marinato nel miso e cotto al forno, da una sorta di giardiniera con pomodoro e rondelle di cipolla agrodolce, da olio al basilico e foglioline di senape. Nella parte inferiore, invece, la lisca del tonno sagomata col kefir. Il verde acqua della stoviglia ben contrasta ed evidenzia sia il tonno che il kefir e fornisce, quindi, la chiave per l’interpretazione visiva. È, di nuovo, ancora, il mare, di Ulisse e di Chef Cedroni, quando “le brezze gli caracollavano intorno, brezze mordenti e frizzanti. Eccole, le onde. I cavalli marini dalla criniera bianca, ribelli al morso, imbrigliati da lucide brezze, corsieri di Mananaan”. Di seguito, poi, è il palato ad essere catturato. Dal grasso della panatura, dall’acidità del kefir, dalla balsamicità della senape e del basilico, dalla dolcezza dei pomodori, dall’agrodolce della cipolla. Più che una bonaccia, una vera e propria tempesta tra le fauci, cavalloni e ondate di gusto in un godimento apparentemente senza fine. Le successive portate costituiscono la parte centrale della cena, due primi ed un secondo, nelle quali la reinterpretazione è fatta con la maturità della classicità, confrontandosi con la tradizione. È Ulisse che nelle proprie peripezie sfida gli dèi volendo oltrepassare le colonne d’Ercole della cucina storica. La prima di queste sfide, “gnocchetti con patate affumicate, carpaccio di baccalà, cocochas e vongole, salsa di topinambur”, molto discreta visivamente, si presenta col giallo paglierino degli gnocchetti, sul beige chiaro della salsa di topinambur, assieme al baccalà e alle vongole, sempre dai toni ambrati, chiazzati qua e là dal verde delle erbette in accompagnamento. È un primo scatto verso l’alto, in cui la tradizione avvolgente, morbida, pastosa e famigliare della pasta a base di patate è avvicinata a sentori affumicati e a quelli acidi del topinambur, mediati dalla sapidità e dal gusto iodato e marino del baccalà e delle vongole. Di nuovo il Falerio Pecorino continua ad assisterci piacevolmente. Il viaggio è un ricordo di Paesi Baschi e Scandinavia, ben oltre, quindi le colonne d’Ercole, volendo seguire la via del mare. Ma l’apice della reinterpretazione è nei tre “tortellini di Parmigiano liquido, carne cruda battuta al coltello, salsa di pomodoro, marmellata al balsamico” che, gialli di pasta all’uovo, nella migliore delle forme canoniche, disposti in circolo al centro della bianca stoviglia, circondano la noce di carne cruda, nascondendo al loro interno il prezioso ripieno di Parmigiano. Quel che normalmente, quindi, è “fuori”, cioè il formaggio, è ora “dentro”, cioè si fa ripieno, mentre quel che normalmente è “dentro”, il ripieno di carne dei più classici tortellini, il cosiddetto “pesto” della tradizione emiliano-modenese-bolognese, è “fuori”, si fa quindi accompagnamento e condimento. Geniale e gustoso, la sapidità cremosa e avvolgente del Parmigiano, cullata dalla pasta, viene contrastata dalla carne, dall’agrodolce della salsa di pomodoro e dalle punte di acidità del balsamico. Scambi di ruoli, quindi, maturi e studiati, per uno dei protagonisti della serata. Sinestesie e simbiosi, a volerlo seguire. Come se dovessimo “gustodorare il succo generoso” “con occhio lungimorentemontano”; sempre di bere si tratta, ma odorando e quasi ammirando un tramonto dietro i monti. Il corretto loro compagno di viaggio è il bianco Stella Flora 2014 Maria Pia Castelli, a base di trebbiano, pecorino, malvasia e passerina, macerato sulle bucce, e pertanto dal giallo paglierino molto carico, quasi dorato. Come la pasta. Il terzo capitolo di questa parte è, infine, la “cernia ai carboni, zucca gialla, salsa di zenzero, soia e rum, prezzemolo bruciato”. Alla succulenza del piatto è necessario qui il medesimo vino del precedente. La cernia, infatti, cotta ai carboni, con crema e cubetti di zucca, è servita con un brodo ricavato dalla testa e dalle sue lische, con una salsa di soia, rum, zenzero e prezzemolo bruciato. Anche alcune verdi foglie di prezzemolo sono presenti sull’arancio dei cubetti di zucca, il tutto punteggiato qua e là dalle, sempre verdi, gocce della salsa in accompagnamento. Al gusto quindi dolcezza, piccantezza, sapidità, acidità e freschezza, leggeri sentori affumicati, al tatto morbidezza e succulenza in un insieme dalle note molto intense e mature. È ora il momento della dolcezza, la parte più propriamente muliebre, interiore, dell’accoglienza, del gioco, di Penelope. La parte del “Nòstos”, del ritorno, nostalgico, alle memorie più ataviche, infantili, legate alla quotidianità, e, per questo, a volte più vere, a volte più commoventi, a volte più intime. La parte del rientro in patria, a Itaca, o alle proprie origini o semplicemente alla quotidianità delle ordinarie incombenze. Il quotidiano della nostra storia passata e vissuta, insomma, legato ad un uovo sbattuto, che, errando, ci veniva fatto passare dalle mamme e dalle nonne come uno “zabaione”, legato alle faccende di casa per rassettare la cucina dopo il pasto, legato alla favola della buonanotte, con il suo potere soporifero, quasi letargico, e tranquillizzante. E uno zabaione è proprio il primo di questi momenti di intimità. “Zabaione ghiacciatissimo”, preparato al tavolo, direttamente dallo Chef, con sifone e azoto liquido in una nube di vapori, servito nella sua semplicità, quasi un pre-dessert a siglare il passaggio al dessert vero e proprio. Abbinato ad un Verdicchio dei castelli di Jesi Passito Tordiruta 2012 Moncaro, straordinariamente fresco nonostante gli anni. E poi nel viaggio di ritorno nella vita di tutti i giorni arriva il momento di rassettare la cucina. La nuova estetica del nostro Odisseo diventa sperimentazione e trasmuta in dolce gli strumenti e lo svolgimento stesso di questa operazione. Insomma, “… e adesso chi lava i piatti?!”. Non solo la semplicità dell’operazione diventa piatto, ma gli stessi passaggi preparatori di una ricetta, l’algoritmo, direbbe un Leopold Bloom dei giorni nostri, diventano essi stessi parte del risultato finale. Non è solo nuova estetica; è anche sperimentazione di tecniche narrative e compositive. Infatti, un foglio trasparente viene posto sul tavolo. Sul foglio sono riportati i singoli passaggi della ricetta per la preparazione, per l’impiattamento. Si procede non più per narrazione diretta della pietanza, ma per passaggi, quasi per domanda e risposta. Con pignoleria. “Gli atti di Bloom? Depose i capi di abbigliamento su una sedia, si tolse gli indumenti rimanenti, prese da sotto il cuscino alla testata del letto una lunga camicia da notte bianca piegata, inserì la testa e le braccia nelle apposite aperture della camicia da notte, tolse un cuscino dalla testa ai piedi del letto, preparò di conseguenza la biancheria ed entrò nel letto”. E ad ognuno di questi passaggi corrisponde un ingrediente da aggiungere, straordinariamente realistico, in questa allegoria del vivere quotidiano. Innanzitutto, la spugnetta, in due strati, uno di spessore maggiore, giallo, pan di Spagna cotto al microonde, e uno, più sottile, sovrastante, verde, pan di Spagna cotto in forno normale. All’occhio identica alla famosa spugnetta lavapiatti in commercio. E poi il detergente, alchermes spruzzato in abbondanza su questa falsa spugna. Ancora, il sapone, in realtà crema alla vaniglia e limone, di nuovo il detergente/alchermes, e poi la pasta sfoglia sbriciolata e lo zucchero a velo, ad imitare i residui da togliere con il lavaggio, e, infine, la schiuma del sapone, il gelato alla mandorla. Ovviamente le fauci vanno in visibilio all’assaggio, con il contrasto tra consistenze, aromi di vaniglia, crema, limone, vapori alcolici dell’alchermes, croccantezze di pasta sfoglia, ma la cosa più straniante, e godibile, è il continuo sfalsamento del piano visivo con tutto il resto, dato che, alla vista appunto, stiamo divorando una spugnetta insaponata e pronta per lavare i piatti! Incredibile ed entusiasmante! Infine, è l’ora della buonanotte, della favola prima di andare a letto, delle meditazioni interiori, flusso introspettivo di pensieri e riflessioni, monologo di coscienza, che assale negli istanti immediatamente precedenti il sonno vero e proprio. “Alice nel paese delle meraviglie” è il terzo momento dolce. Cinque praline variamente assortite, deliziose e disposte su un percorso raffigurante alcuni momenti del racconto, che viene esposto con dovizia di particolari e inviti all’introspezione per interpretare adeguatamente i bon bon associando correttamente i loro sapori, le loro consistenze, i loro aromi, i loro profumi alla storia. “Ecco allora la gommosa con succo di carota e arancia e zenzero e rum che è il BianConiglio e poi il BruCaliffo con due cuori di cioccolato centrali quello grande di cioccolato al latte e pompelmo rosa e ginepro e gin per diventare piccoli e poi quello piccolo di cioccolato fondente e whisky torbato e the affumicato cinese e polvere di porcino essiccato per diventare grandi e poi il cappellaio matto e per lui è sempre l’ora del the quindi cuore di cioccolato con una riduzione di the al bergamotto e infarinato con una leggera polvere di biscotto e infine la regina di cuori amante delle rose quindi acqua di rose ma la sua specialità è tagliare le teste quindi parecchio pepe rosa e al tatto sembra una caramella perché fatta essiccare per cinque giorni quindi ha cristallizzato lo zucchero ma all’interno rimane una classica gommosa”. Sì, proprio così! Tutto d’un fiato! Così, senza punteggiatura, vero flusso di coscienza, vero come quello di Molly/Penelope che Joyce pone a chiusura di Ulysses: “e i fichi nei giardini di Alameda sì e tutte le stradine stradine e le case rosa e blu e gialle e i roseti e le gelsomine e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dove io ero un fiore di montagna sì quando mi mettevo la rosa nei capelli come usavano le ragazze andaluse o mi metto un rosso sì e come mi baciava sotto il muro moresco e io pensavo bene anche lui come un altro e poi glielo chiedevo con gli occhi per chiedere ancora sì e poi mi ha chiesto vorrei sì per dire sì […] e prima gli ho messo le braccia al collo si […] e il suo cuore andava come un matto e sì ho detto sì lo farò sì.” Per chiudere poi con caffè, cremino di cioccolato gianduia e sorbetto all’anisetta. Tutto coronato dalla firma del menù, a ricordo della serata, e da una visita al cosiddetto “tunnel”, il laboratorio in cui, tra evaporatori, distillatori, bagni a ultrasuoni, affumicatori, mantecatori e liofilizzatori, si sperimenta, in celle di maturazione, l’invecchiamento dei tessuti di pesci di media e grande taglia, per indagare cosa succeda scientificamente dopo 40-50 giorni sulla degustazione e sulla texture delle loro carni. Insomma, una gloriosa e orgogliosamente nostrana Odissea definitiva per l’apoteosi del pensiero, della conoscenza, della sperimentazione, dell’estetica, del gusto, dei sapori, degli aromi, delle immagini e dell’abilità.